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Svolta nell’inchiesta Pantani

pantani_news-bonusvipUn’intercettazione potrebbe fare emergere la vera storia del 5 giugno 1999, dove Marco Pantani fu cacciato dal Giro d’Italia a causa dell’ematocrito (51,9) oltre la soglia consentita (50). In una telefonata fatta da un affiliato alla camorra: la criminalità organizzata avrebbe agito per l’esclusione del Pirata dal giro sembra a causa delle scommesse illegali piazzate con il romagnolo vincente. Per evitare un buco finanziario la camorra decise che Pantani non doveva finire la gara. E così fu, forse con la collaborazione di altri ancora sconosciuti. Questo è almeno quello che ha detto il camorrista sotto controllo telefonico in Campania per altre indagini, che non c’entrano nulla con il ciclismo.

La pista della camorra “regista” non è nuova per i fatti di Campiglio a dirlo era già stato Renato Vallanzasca, capo della banda della Comasina, che era in carcere in quel periodo. Nella sua biografia, uscita pochi mesi dopo il 5 giugno, dice: “Un membro di un clan camorristico, mio vicino di cella, mi consigliò fin dalle prime tappe di puntare tutti i soldi che avevo sulla vittoria dei rivali di Pantani. Alle mie obiezioni sulla forza dimostrata in salita dal Pirata, rispondeva: “Non so come, ma il pelatino non arriva a Milano. Fidati. Se vuoi ti presto io i soldi, se perdi non mi devi nulla. Perché lo faccio? Sei Vallanzasca…”. Non puntai neppure 100 lire, ma la mattina di Campiglio quel detenuto venne da me tutto soddisfatto. “Che ti avevo detto? Pantani è stato squalificato, dovevi darmi retta”. Rimasi di stucco”. Vallanzasca andò a colloquio dal PM Giardina a capo della prima inchiesta su Campiglio, ma senza dare molti riscontri: “Nomi non ne faccio, quelli mi ammazzano”, la risposta di Vallanzasca. E tutto si chiuse li a quelle risposte.
Nel febbraio 2014, a 10 anni dalla morte del romagnolo, Vallanzasca in una intervista a Mediaset racconta qualche dettaglio in più, e rifà il nome della camorra. Tornano alla carica i carabinieri che lo mettono sotto torchio e l’inchiesta viene riaperta coordinata dal procuratore Sergio Sottani e affidata al pm Lucia Spirito. Alla fine escono due o tre nomi e l’indagine si sposta verso Sud a interrogare queste persone, ma tutti negano di essere l’uomo indicato da Vallanzasca. Però chi ha mentito era già sotto controllo per una inchiesta sulla criminalità. E in una telefonata dice: “Certo che la storia di Vallanzasca è vera, pensavo fosse un uomo d’onore e invece è un pezzo di mer… Parlare con i carabinieri…”. Pantani non doveva finire quel Giro, il clan aveva sentenziato e fatto quello che doveva per raggiungere l’obiettivo.
Sono stati mesi intensi quelli di Forlì in procura: gli inquirenti hanno svolto un lavoro molto attento e minuzioso. Adesso è tutto agli atti: in Procura sono finiti molti testimoni e persone informate sui fatti. I carabinieri hanno intervistato ciclisti come Gotti e Savoldelli, direttori sportivi, autisti e tanti altri. Quel 5 giugno è stato passato al microscopio e sarebbero emerse tante incongruenze sospette. E lo scorso maggio sono stati interrogati per ore anche i medici e l’ispettore che effettuarono il prelievo del sangue su Pantani. Perché quello è la chiave di tutto. Il procuratore Sottani ha parlato di una ipotesi (la deplasmazione del sangue) che potrebbe essere stata usata per modificare l’ematocrito di Pantani. I carabinieri hanno raccolto altre informazioni: ci sarebbero persino delle minacce ricevute da un testimone. Ora da Napoli è arrivata una possibile svolta che possa fare chiarezza sull’accaduto una volta per tutte e sembra che potrebbe entrare in scena anche la Direzione distrettuale antimafia per affiancare o sostituire la Procura di Forlì.